KORE - PERSEFONE

KORE-PERSEFONE
FANCIULLA E REGINA INFERA

Kore non è più bambina e non è ancora donna: è una creatura delicata, che visita la soglia della trasformazione.

Il mito ce la presenta immersa in uno scenario bucolico, mentre raccoglie fiori insieme alle compagne, bocciolo fra i boccioli. Quei fiori celano presagi d’amore e di morte, preludio dell’evento fatale che a breve si affaccerà alla sua esistenza: l’incontro con un Signore oscuro, il rapitore che la strapperà alle sue fantasie di bambina.
Kore si prepara all’incontro con l’eros, che nella figura di Ade, Signore dei Morti, si preannuncia come un viaggio infero che la costringerà a visitare le profondità del proprio mondo emozionale, spingendola a compiere un inabissamento nel regno che fra tutti è il più fertile: il luogo dove riposano i semi maturando un lento risveglio, dove le radici attingono al nutrimento più fortificante. Lo scenario di ogni trasformazione, necessario alla morte della Kore fanciulla e alla nascita della nuova Persefone regina.

Quello di Kore-Persefone è un archetipo che ogni donna sperimenta nella vita.

Onorare la Fanciulla in noi accettando di compiere l’esplorazione infera che precede una maturazione consapevole e serena è la prima grande prova che consente di connetterci alla natura sacra del nostro femminile.”

Testo di: Erika Maderna per #FormazioneMadlene

Foto di: Paola Fiorini

 
 

ATENA

ATENA

“Il mito ci racconta che Atena, la dea della strategia e delle vittorie militari, nacque dal capo di Zeus già adulta, corazzata e con l’elmo, emettendo un grido di guerra .
È dunque “figlia del padre”, rispetto al quale mostrerà sempre un atteggiamento di devozione e protezione, ed è orfana di madre, perché mai conobbe Metis, la prima moglie di Zeus, da lui rimpicciolita e inghiottita, per opporsi al vaticinio che un loro figlio maschio l’avrebbe detronizzato (come Edipo e Laio).

Nelle varie narrazioni mitologiche che la vedono protagonista, Atena è colei che pone i principi del patriarcato al di sopra dei vincoli materni e della sorellanza e si accompagna invariabilmente a personaggi di sesso maschile di cui è protettrice, consigliera, patrona e alleata. Come dea della saggezza era nota per le idee vincenti e le soluzioni pratiche.

Era anche la dea delle arti manuali, nelle quali mostrava il desiderio per la sfida che un’opera artigianale richiedeva in termini di pianificazione, esecuzione e raggiungimento dell’obiettivo. È un archetipo femminile che rappresenta il pensiero pragmatico e il contenimento emotivo attraverso l’elaborazione di strategie adeguate nelle situazioni di crisi.

La donna che riconosce in sé Atena, apprezzando la propria sagacia e l’acutezza della propria mente, avrà la tendenza a tenere sotto controllo la realtà, modificando il corso delle azioni nel momento in cui si riveleranno improduttive.

Atena è la dea che porta la corazza: le sue difese intellettuali sono lo scudo contro le tempeste emotive.

La donna che incarna questo archetipo è invulnerabile, impermeabile all’irrazionale sconvolgimento delle passioni, ma questo la esclude dalla gamma completa e dall’intensità delle emozioni umane. Vivendo con la testa, le manca la possibilità di esperire nella pienezza il proprio corpo.

Ciascun archetipo potenzia così come limita, ed è solo attraverso la consapevolezza di quanto e come ci abita una dea che possiamo cogliere influssi benefici o impropri”

Testo di: Xenula Tinti per #FormazioneMadlene

Foto di: Paola Fiorini

ARTEMIDE

ARTEMIDE

“È difficile intravedere Artemide la selvatica: se la cercate, sappiate che si nasconde nei boschi ed è brava a sfuggire agli sguardi indiscreti.

Lei è la dea che, ancora bambina, chiese in dono a suo padre Zeus di poter rimanere perpetuamente vergine, di avere in dote arco e frecce, mano ferma e occhio acuto. Ottenne di poter indossare un corto chitone e sandali comodi, di avere cani da caccia, ninfe per compagne e per dimora i monti ricchi di selvaggina.

Non ama frequentare le città, Artemide la selvatica, e vi si reca solo quando vi è attirata dal richiamo straziante di una donna che invoca il suo aiuto nel travaglio del parto.

Da un punto di vista archetipico, questa dea personifica un femminile spiccatamente indipendente. In quanto arciera, persegue i suoi obiettivi con determinazione; ama le sorellanze, all’interno delle quali intesse relazioni solidali ed esercita una competitività sana. Scoprire e riconoscere in sé questo archetipo consente di rinforzare tali aspetti positivi nelle scelte e nelle relazioni, e allo stesso tempo di elaborare difficoltà e dinamiche psicologiche che spesso si accompagnano a questo modello.

Artemide possiede la natura selvatica del cervo e della lepre; può essere materna e protettiva come l’orsa, a cui si consacravano le sue sacerdotesse ancora fanciulle, ma, come ogni manifestazione del sacro femminino, quando vuole salvaguardare la propria libertà sa anche essere crudele e distruttiva.”

Testo di: Erika Maderna per #FormazioneMadlene

Foto di: Danilo Pagliai

AFRODITE

AFRODITE
«E quando, in un’estasi di vita che comincia,
l’onda si frange e sfrangia sulle rocce,
le avvolge, le cinge, le stringe e poi vi scorre
 – dalla spuma bianca, dal sole, dal vento che ha spirato,
 dai pesci, dai fiori e il loro polline,
dalle tremule alghe, dal grano, dalle braccia della medusa,
dai crini dei cavalli, dal mare, dalla vita tutta,
Afrodite è nata, nasce il tuo corpo»
(José Saramago)
 
Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, ha catalizzato su di sé un’attenzione e una dedizione (tanto nella mitologia quanto nelle opere di letterati e artisti) che non ha quasi paragone nel pantheon pagano.
Secondo la versione esiodea della sua nascita, Crono tagliò con un falcetto i genitali del padre Urano e li gettò in mare; dal rimescolamento di seme e acqua si sollevò una candida schiuma da cui nacque Afrodite, che emerse da questa fecondazione oceanica come una dea già adulta.
 
È una divinità che come un vento spira e ispira innamoramento e concepimento del nuovo.
Rappresenta la potenza di trasformazione e di creazione, propria dell’amore.
«Subito essa ebbe tra gli dei e gli uomini come funzione ed ufficio il bisbiglio delle fanciulle, il riso e la malizia, la dolce voluttà, l’amore e la mitezza»: così scrive Kerènyi.
 
L’archetipo di Afrodite può esprimersi nel rapporto fisico o in un processo creativo: quando si delinea la possibilità di crescita, di una visione o di una scintilla creativa, è lei a presiedere, e il suo influsso è inevitabile.
Si respira pienamente la sua magia: è una luce speciale, dorata (l’aurea Afrodite), in cui vediamo risplendere il destinatario del nostro sentire.
Tutto si intensifica.
In questo incanto le nostre percezioni si acuiscono potentemente: musica e profumi inebriano, il tatto e il gusto dell’amante  mandano in estasi. 
 
Non è facile avere Afrodite come archetipo.
La donna che la incarna, stretta tra il desiderio di intimità sessuale, la tendenza a generare energia erotica negli altri e i vincoli angusti di culture (soprattutto quelle rigidamente patriarcali dei tre monoteismi) che condannino e stigmatizzino tale inclinazione, potrà manifestare senso di colpa e conflitto, con ripercussioni sulla sua esistenza.
 

Testo di: Xenula Tinti per #FormazioneMadlene

Foto di: Paola Fiorini

ERA

ERA

Era è la sposa regale del grande Zeus.

La sua è una posizione di indubbio prestigio, che tuttavia se osservata fra le pieghe del vissuto mitico rivela tutta la complessità di questo archetipo.

Questa dea costruisce la propria identità attraverso un’assimilazione quasi totalizzante al suo ruolo di moglie: una funzione che gode del privilegio di una riconosciuta visibilità sociale. Un potere “riflesso”, che la gratifica profondamente, ma la rende anche vulnerabile e soggetta ai comportamenti del suo divino consorte.

Era è una dea onorata dalle donne in quanto “regina” e al contempo sistematicamente umiliata dai continui tradimenti del proprio uomo, alla sua mercé emotiva. Sperimenta una sofferenza alla quale reagisce vendicandosi con accanimento, ma indirizzando per lo più la propria furia verso le rivali, spesso a loro volta ingannate e sedotte loro malgrado da Zeus.

Al pari della dea, la donna che sperimenta questo archetipo si sente incompleta se non ha un compagno, e protetta e realizzata se è coinvolta in una relazione stabile e “ufficializzata”.
È una moglie fedele nella buona e nella cattiva sorte, ma quando è insicura o ferita, tradita o rifiutata, la gelosia può renderla vendicativa e persecutoria.

Quando la presenza di questo archetipo crea oppressione o sofferenza, riconoscerne l’influenza e tentare un’integrazione con “altre dee” presenti in noi può aiutarci a spezzare le catene che ci imprigionano nell’archetipo.

Testo di Erika Maderna per #FormazioneMadlene
Foto di Danilo Pagliai

DEMETRA

DEMETRA

Antica dea greca della natura e delle messi, incarna la fertilità e presiede al ciclo naturale di morte e rinascita.
Figlia di Rea e di Crono, è descritta nell’inno omerico come sorella maggiore di Zeus, con cui concepì l’unica e prediletta figlia, Persefone/Kore, intorno al cui rapimento da parte di Ade (e successiva restituzione) si svolge la narrazione mitologica.

Demetra rappresenta l’energia materna, il nutrimento.
Furiosa e piena di rabbia per la sottrazione della Fonte primaria di significato (l’amore, il nutrimento e la protezione della figlia), ritira l’energia vitale dalla terra facendola avvizzire.
Abbandonato l’Olimpo, si traveste da vecchia e va girovagando in lungo e largo. Giunge ad Eleusi, dove le si presenta l’occasione di fare da nutrice al piccolo Demofoonte e, crescendolo con infinito amore, ritrova il senso del suo esistere.

Demetra è l’archetipo della madre per eccellenza, la vera nutrice fisica, psicologica o spirituale.

È colei che esprime protezione incondizionata non solo della progenie biologica, perché sa nutrire con pari amore amici, conoscenti e compagni.
È un archetipo molto potente, che può determinare il corso dell’esistenza di una donna e influire in modo significativo su chi riceve le sue cure, ma può anche predisporre ad esiti infausti, qualora il suo bisogno di essere nutrice venga rifiutato o ostacolato.

*Demetra è la madre del sacrificio e della abnegazione: madre come destino ineluttabile dell’essere donna.*

Questa concezione è cardinale nella ideologia patriarcale, nella quale la donna che si realizzava nella maternità emendava gli aspetti più inquietanti della femminilità, rappresentandoli come fantasmi maligni: lussuria, peccaminosità, inaffidabilità, crudeltà, stregoneria. Lo stigma di un’anarchia pericolosa e antisociale poteva essere epurato solo attraverso l’espletamento della funzione materna.

Ma occorre sempre avere consapevolezza che se la funzione materna ha, da un lato, una peculiare centralità nel processo di umanizzazione della vita, dall’altro la madre non esclude mai l’ambivalenza e la divisione interna. La “madre” che fa soccombere la “donna”; o la “donna” che sopprime la “madre” sono declinazioni ugualmente patologiche per se stesse e per l’oggetto d’amore.

Solo se la madre non si concentra unicamente sull’esistenza del figlio la maternità sarà generativa e produttiva di messi: offrire radici è essenziale, ma donare ali è il significato profondo di questa funzione.

Testo di Xenula Tinti per #FormazioneMadlene

Foto di Danilo Pagliai

HESTIA

HESTIA

“Centro” e “Fuoco” sono le suggestioni intorno a cui Hestia ci invita a esplorare il suo archetipo.
Custodiva il focolare domestico, simbolo dell’aggregazione famigliare, ed era l’unica fra le divinità greche a non essere mai stata scolpita nella pietra, poiché la sua natura è ignea, e le sue sembianze possono essere indovinate soltanto nel baluginare della fiamma viva.

Era la prima e l’ultima dea a cui erano dedicate le libagioni; nessuna abitazione poteva essere consacrata prima che lei vi fosse entrata. Hestia custodisce il fuoco che garantisce la sopravvivenza della comunità, ma quel fuoco è anche evocazione delle energie segrete di questa dea e di ogni donna che ne riconosce in sé la presenza.
Il “focolare psichico” di Hestia è lo spazio intimo che chiama l’anima a ritirarsi verso la propria sorgente sacra: il suo dono è la capacità di “focalizzarsi” su di sé, di accedere all’intuito, nel significato etimologico di “visione interiore”.

Quando una donna ascolta il sussurro di Hestia desidera solitudine e silenzio; si occupa delle attività domestiche con la serena dedizione di una vestale che si accinge a una cerimonia sacra, disponendosi in uno stato psichico simile alla meditazione e vivendo con pienezza il momento presente.

Come la dea, che era priva di simulacro, la donna Hestia non ha un ego forte, e può talora apparire distaccata e solitaria; ma quando si sente sopraffatta e disorientata dalla confusione del mondo, attivare l’archetipo le consente di ritrovare quiete interiore, di ravvivare la fiamma dell’intuito per raggiungere il suo centro.

Testo di Erika Maderna per #FormazioneMadlene
Foto di Danilo Pagliai

ECATE

ECATE
ECATE, LA GUARDIANA DELLA SOGLIA.
Inno alla dea trina
 
Ecate è una dea antica e potente.
Una divinità messaggera, mediatrice, che vive “in limine” fra il regno di sopra e il regno di sotto, dormendo con un piede sulla soglia; al crocevia dei trivi, una sua triplice effigie infondeva coraggio all’avventore smarrito. I luoghi di transizione sono carichi di presagi, e così i riti di passaggio e le metamorfosi dell’anima.
 
Nel mito, Ecate fu l’unica a udire le grida della giovane Kore, quando fu rapita dal tenebroso Ade. E quando la fanciulla, ormai regina, tornò dagli Inferi con il nome di Persefone, fu lei ad accoglierla illuminandone il cammino, e da allora le fu compagna inseparabile.
Per ogni giovane donna, Ecate dunque è annunciazione, premonizione di potere psichico. Ogni risalita dagli inferi consente il ricongiungimento con la sua energia, memoria integra del sacro femminino.
Lei è la maestra dei misteri che consentono la rigenerazione e presiedono a ogni trasformazione.
 
Questa dea visita l’anima femminile per recare doni: sussurra a ogni donna che può essere guaritrice, profetessa, strega.
Eppure, è proprio la sua natura di strega ad avere decretato, già a partire dalla cultura greca, l’esilio che l’ha relegata fra le divinità rinnegate.
 
Ecate viene sovente identificata come un archetipo che si rivela alla donna nell’età della menopausa, iniziandola alla saggezza di anziana, spalancando la consapevolezza di una nuova e ricca fase della vita.
In realtà la dea, come suggerisce il mito, può esserci alleata in tutti passaggi dell’esistenza: può prendere per mano la fanciulla che è in noi, illuminandone il percorso; può vegliarci negli anni della vita adulta, ricordandoci che abbiamo un intuito forte e integro.
Che essere “streghe” è una cosa seria.
 

Testo di Erika Maderna per #FormazioneMadlene
Foto di Paola Fiorini

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